don Giovanni De Rosa
La parabola del grano e della zizzania di questa domenica ci parla di questa premurosa giustizia di Dio, che penetra ogni ambiente di uno spirito nuovo. O meglio, dei doni dello Spirito (Gal 5, 22): sono i componenti di un prodotto innovativo, capace di sperare anche nella conversione del peccatore (Sap 12, 19). Ma la parabola va letta in sinfonia con le altre due: il granello di senape e il lievito. Sono immagini di ordinaria amministrazione, che garantiscono l’antidoto al rischio della rassegnazione. L’attesa, nella logica di Dio, non è passiva remissività. Non si sta a guardare il male attendendo semplicemente che i giorni e le stagioni facciano il proprio corso. La nostra non è la religione naturale e cosmica, che alimenta fatalistiche illusioni secondo i chiari di luna.
C’è invece da immettere la vitalità del lievito nella massa. C’è da innescare processi di crescita nella piccolezza del grano di senape. Si tratta, come auspica papa Francesco, di “occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. Il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci” ( Evangelii Gaudium, n. 223). Dove c’è il male, insomma, a noi spetta seminare germi di bene. Questo vale per ogni campo della vita. Anche per le grandi questioni della pace nel mondo. Ciò che uccide definitivamente la giustizia, più ancora che le bombe, è l’indifferenza e la rassegnazione dei popoli verso il possibile cambiamento della storia. “Chi ha orecchi, ascolti!”.
don Marco Zaina
In questa domenica, dove la liturgia della parola ci parla di pentimento, di perdono, dello Spirito che viene in aiuto alla debolezza dell’uomo, il vangelo ci offre tre parabole: quella della zizzania; quella del seme più piccolo, che diventa più grande delle altre piante dell’orto; e quella del lievito.
La prima sembra far da cornice alle altre due. Tutte descrivono il regno dei cieli, offrendo al credente altrettanti spunti per la riflessione.
Il regno di Dio non ha la pretesa di apparire, di offrire le grandi opportunità; non è un evento eccezionale che fa scalpore per attirare a sé le persone; non è il tempo delle grandi occasioni, dei Saldi.
Il regno di Dio (il piccolo seme) non mette fretta, nasce e cresce in mezzo agli uomini, per offrire a tutti gli uomini riparo e ristoro. Pian piano si diffonde (come il lievito) dappertutto per poter arrivare al cuore di ogni uomo e lì alimentare il desiderio e l’esperienza di Dio.
Certo, vi sono anche gli ostacoli (la zizzania) al regno dei Cieli. Ci sono altre proposte allettanti: il facile guadagno con l’imbroglio, la superiorità sostenuta dalla prepotenza, la forza e il potere che si fondano sulla paura della violenza, …. Di fronte a queste proposte l’uomo talvolta devia e si allontana dalla vita del regno di Dio.
Ma il buon seme cresce ugualmente, anche se accanto cresce la zizzania. I semi non cambiano: il grano resta grano e la zizzania resta zizzania. Tuttavia, se il seme buono sono i figli del Regno e la zizzania sono i figli del Maligno, questi sì che possono cambiare. C’è il pericolo che i figli del Regno diventino figli del Maligno, ma c’è anche la possibilità che accada il contrario.
Un monito e una speranza che si possono trovare solo in quel Dio che perdona, che accoglie il sincero pentimento, che dona forza per resistere nelle difficoltà delle tentazioni.