due parole per domenica di Pentecoste, 23 maggio 2021

don Giovanni De Rosa:
I discepoli si ritrovano riuniti nel Cenacolo con Maria, le porte sono chiuse, come i cuori di alcuni discepoli ancora dubbiosi sui racconti della Resurrezione. Questa è l’immagine di una Chiesa introversa, paurosa rispetto al mondo, ripiegata su di sé da uno strano complesso di inferiorità. Questa Chiesa ancora adolescente riceve la sua Cresima, accompagnata da uno sconvolgimento un “fragore”, che si sente all’improvviso, un terremoto che non ha il suo epicentro nelle viscere della terra, ma in Cielo, nel cuore della Trinità. Il “vento” ci dice subitaneità e forza improvvisa che trascina tutto, mentre le “lingue di fuoco” esprimono ardore, difficoltà a contenere. Ciascuno siamo chiamati all’ascolto del primo annuncio di Gesù morto e risorto nella propria lingua nativa. La “lingua nativa” non è solo quella del mio paese natale, ma la lingua universale cioè la lingua dell’amore. E’ proprio lo Spirito Santo che ci insegna la lingua universale dell’amore per comunicare dovunque.

don Marco Zaina:
Ma questo Spirito Santo, alla fine chi è? Cos’è?  Dove lo troviamo? Come ci accorgiamo del suo agire?
Nel vangelo viene presentato come una colomba che scende su Gesù al momento del suo battesimo al Giordano (Mt 3, 16); dal racconto della pentecoste negli Atti degli Apostoli, sembra si sia manifestato, con delle lingue di fuoco che si posavano sui discepoli (Atti 2,3); la teologia ci insegna essere la terza persona della SS. Trinità (CCC nn. 249-256).
La lettura di altri brani della scrittura ci suggerisce l’idea dello Spirito legata alla vita. Pensiamo allo Spirito di Dio che aleggiava sulle acque al momento della Creazione (Gen, 1,2); o all’alito di vita che Dio soffia nelle narici di Adamo per farlo vivere (Gen 2,7); o ancora a quello Spirito che viene dai quattro venti e soffia sui morti di cui parla il profeta Ezechiele (Ez 37, 1-14).
Sono tutti brani molto belli da leggere e, possiamo ben dirlo, anche un po’ impegnativi e talvolta difficili da capire.
Proviamo allora ad essere più concreti (lo Spirito Santo non me ne voglia, anzi mi aiuti a scrivere le cose in maniera semplice e corretta).
Invitati a pranzo da qualcuno, anche senza una particolare ragione, veniamo accolti a casa sua, ci sediamo a tavola, mangiamo e conversiamo “del più e del meno”. Dopo qualche giorno, potremo esserci dimenticati di quel che abbiamo mangiato, dei sapori che abbiamo apprezzato e di ciò di cui abbiamo conversato, ma non ci dimenticheremo dell’accoglienza che ci è stata riservata, dell’affabilità, dell’amicizia, della gentilezza, delle piccole attenzioni che ci sono state riservate.
Così l’azione dello Spirito, la sua presenza, si riconosce non tanto da ciò che apprezziamo delle cose, quanto da ciò che “respiriamo, viviamo, sperimentiamo”. Bene esprime questo pensiero S. Paolo nel brano della lettera ai Galati di questa domenica, dove contrappone i frutti della carne, che di solito si cerca solo di dimenticare perché ci mettono in difficoltà, dai frutti dello Spirito che sono amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé….cose che invece si cerca di non dimenticare, perché fanno stare bene.
Un altro esempio: più breve e più immediato. La gioia di due sposi non sta nella preziosità dell’anello che si sono scambiati il giorno delle nozze, ma nell’amore che vivono e si sono promessi l’uno per l’altra.
Ecco come e dove riconoscere l’azione dello Spirito Santo.
Se poi, dopo la lettura di queste righe, è più chiaro come agisce lo Spirito, vuol dire che anche qui ci ha messo tanto del Suo…….
Grazie datore di doni
Grazie luce dei cuori

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