due parole per domenica 28 giugno, XIII del tempo odinario

don Giovanni De Rosa:
Mentre leggo il Vangelo di questa domenica, ci sono tre parole che colpiscono la mia attenzione: “…piú di me…”. Gesù ci chiede un amore totale, un’appartenenza senza sbavature. Mettere Lui al primo posto significa stabilire un primato, mettere un perno fondamentale che possa dare ordine e misura a tutto. Tutto sarebbe diverso se Gesù fosse per davvero il perno della nostra vita. Se il primato della nostra vita l’avesse Dio, e non il nostro ombelico, forse le cose sarebbero davvero diverse. La parola di Gesù è carica di un’energia rivoluzionaria che non si spegne, di una novità che non appassisce. Mai. Oggi intravedo una piccola primavera. Nonostante il grigiore di queste ultime settimane, il Signore ci sorprende. E sono i poveri, gli ultimi, a darmi lezioni di vita. “Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà”. Ancora una volta i poveri mi insegnano cosa significhi perdere per trovare. Ancora una volta nei loro volti ho visto il volto di Cristo che perde tutto per ritrovarci tutti, per fare di tutti un solo popolo, una sola famiglia, una sola chiesa.

don Marco Zaina:
Gratitudine e ricompensa. Sono due parole che proposte dalle letture di questa domenica, offrono diversi pensieri.
Si parla di gratitudine per un dono ricevuto; o meglio, di gratitudine per l’accoglienza ricevuta.
Un’accoglienza che è espressione di ospitalità: “so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Facciamo una piccola stanza superiore, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia, e un candeliere; così venendo da noi, vi si potrà ritirare”.
Un’accoglienza che è espressione di carità “chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo…”
E’ l’accoglienza di chi viene in nome di Dio.
Ed è la gratitudine di Dio che, accolto, si fa Dono per l’uomo.

fra Roberto Benvenuto:
La domanda, forte e provocante, che ci interpella oggi é: cosa significa per me, per te, amare il Signore? E la risposta non può non sconvolgere il nostro quieto vivere. Vivere da cristiano, amare il Signore sopra ogni altro amore, richiede una radicalità coraggiosa e anche a suo modo rivoluzionaria. Amare Cristo significa metterlo al centro della nostra vita, e ogni altro amore importante da questo centro prende significato.  Ma c’è anche molto molto di più! Significa anche accogliere nella nostra vita la croce, e non a parole, ma a fatti. Significa essere disprezzati, umiliati, emarginati, derisi per amor suo. Significa donare la nostra vita, perderla per lui. È una logica sconvolgente, ma che rende vera la nostra umana esistenza. Non è un dovere, però: è la altrettanto sconvolgente scoperta di un amore infinito che dá senso a tutto, e che richiede di essere riamato. Questo ci farà completamente uomini e donne realizzati e felici.

Papa Francesco: «“L’Amore non è amato”: secondo alcuni racconti era questa la realtà che turbava San Francesco di Assisi. Egli, per amore del Signore sofferente, non si vergognava di piangere e lamentarsi a voce alta (cfr Fonti Francescane, n. 1413). Questa stessa realtà ci deve stare a cuore contemplando il Dio crocifisso, assetato di amore. Madre Teresa di Calcutta volle che nelle cappelle di ogni sua comunità, vicino al Crocifisso, fosse scritto “Ho sete”. Estinguere la sete d’amore di Gesù sulla croce mediante il servizio ai più poveri tra i poveri è stata la sua risposta.»

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