don Marco Zaina:
Una canzone italiana degli anni 60’ iniziava con queste parole: “La verità mi fa male, lo so”. In molti la ricorderanno.
Ebbene: la verità talvolta può essere scomoda, far male. Non solo oggi. Da sempre. Le letture di questa 22° domenica del tempo ordinario ci suggeriscono che anche la Verità di Dio spesso è stata ed è ancora scomoda per chi insegue i propri interessi, per chi non si cura dell’altro, per chi antepone se stesso agli altri.
Chi vive così ha anche bisogno di un accessorio, di un “gadget” indispensabile: un paravento, una giustificazione sempre pronta al proprio agire. Ma alla lunga la cosa può diventare insostenibile.
Dall’altra parte c’è chi si adopera per la verità e si trova di fronte ai diversi paraventi, alle varie giustificazioni.
E alla fine può anche venir fuori la verità, che spesso però è quella dell’uomo: debole, fragile, attaccabile perché non è quasi mai certa.
Pensiamo alle tante verità che stiamo ancora cercando e che ci toccano da vicino. Ne cito alcune solo facendo nomi di località, persone o virus: Ustica, Giulio Regeni, Covid-19. A quando la verità definitiva ?
All’uomo che cerca la verità, Dio propone di accettare lui come Verità. E’ forse difficile da capire cosa significa, come si può fare, ma Gesù è venuto per questo. Essere veri oggi, essere persone di verità è possibile. Seguiamo Gesù: non avremo bisogno di paraventi o di giustificazioni ben confezionate.
Basta amare come Lui ci ha insegnato.
fra Roberto Benvenuto:
Come Pietro anche ciascuno di noi facilmente rigetta la sofferenza della croce, la passione fatta di percosse, insulti, aggressioni verbali, menzogne, la morte vergognosa sulla croce. La rigettiamo per Gesù, Figlio di Dio, e la rigettiamo per noi stessi. Che senso ha portare sulle spalle le croci della nostra vita? Fatichiamo come Pietro a intravedere la luce della Risurrezione. Vogliamo essere noi davanti a Dio a spiegargli che così non va, non si fa così. Ma Gesù con forza ci sospinge dietro a lui, a noi è dato il compito e la vocazione di seguirlo, e non quello di insegnargli il mestiere di Dio! E solo seguendolo con Fede obbediente troveremo appieno tutto il senso della nostra esistenza, a tratti felice a tratti devastata dal dolore. Ma tutti, con Lui, arriveremo alla gioia piena senza fine. Fidiamoci!
don Giovanni De Rosa:
Rinnegare se stessi non è una sorta di castrazione della vita, un appiattimento delle prospettive, anzi nei discepoli di Cristo nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore (Concilio Vaticano II, GS1).
Rinnegare se stessi significa liberarci dalla visione egocentrica della storia, superare un “io” ingombrante – oggi c’è una esplosione dell’idea di un “io collettivo” fatto di coloro che sono nati nello stesso luogo, parlano la stessa lingua, hanno le stesse caratteristiche fisiche. Occorre allargare l’orizzonte in una visione ampia in cui fare spazio agli altri, fare un passo indietro per accogliere le esigenze dell’altro, rinunciare a qualche nostro preteso bisogno per incontrare il bisogno altrui. La nostra libertà non finisce là dove inizia la libertà dell’altro, secondo il pensiero liberale; la libertà, per un cristiano, termina dove inizia il bisogno altrui. La sola dimensione di Dio è quella dell’amore, colui che segue Gesù sa che la sua vita dev’essere spesa tutta, fino all’ultimo per amare.