fra Roberto Benvenuto:
“Vogliamo vedere Gesù “! Questa è la domanda che, posta da alcuni Greci a Filippo, diviene la domanda di ciascuno di noi. Vogliamo vedere, conoscere, incontrare Gesù. E come potremmo farlo, se non attraverso la Comunità Cristiana, che ci mostra il suo volto attraverso la testimonianza del vivere quotidiano, alla luce di Gesù e del suo Vangelo. Filippo e Andrea rappresentano ogni Comunità Cristiana, i nostri sacerdoti, e ogni battezzato che incontriamo nel percorso della nostra vita.
Però l’immagine che ci viene posta davanti ci sorprende, ci sconcerta quasi. É l’immagine del chicco di grano che deve cadere a terra e morire per portare frutto. È l’immagine dell’Uomo della croce. E allora capendo che quella croce è lo strumento della nostra salvezza, capiamo anche che se siamo semi buoni per dare frutti dobbiamo morire. Cadere a terra e morire. A noi stessi, ai nostri falsi progetti di felicità, alle nostre ideologie e pregiudizi. Morire. Perché solo dal seme morto nella nuda terra può nascere una pianta che diverrà albero e darà frutti di vita e di gioia. Solo così potremo essere testimoni visibili del Vangelo di Gesù, e rispondere con la nostra vita alla domanda: “Vogliamo vedere Gesù”.
don Giovanni De Rosa:
In questa domenica Gesù paragona la vita ad un chicco di grano. Quel chicco è piccolo, e sembra anche semplice come struttura. Eppure, ogni chicco di grano porta in sé un germe. In ogni chicco c’è la possibilità di diventare una pianta di grano, rigogliosa e portatrice di vita. La vita può esserci se il chicco muore in favore di quel germe che è in lui. Deve morire per far nascere la vita. E questa morte, lenta, dolorosa e nel buio della terra non è certo un viaggio di piacere. Ovviamente in tutta questa descrizione Gesù parla di sé, della sua morte che poi darà vita. Ma non parla solo di lui, parla di tutti noi in quanto anche noi siamo chiamati a morire in senso spirituale. Cioè in questo tempo di Quaresima dobbiamo cercare di seppellire nel buio che circonda quel germe, che vuole aprirsi e vivere. Siamo chiamati a “spaccarci” per dare a quel germe la possibilità di uscire e di indirizzarci verso la luce. Questo tempo di Quaresima è il momento migliore per far morire alcune parti di noi, inutili, che soffocano in noi quel germe di vita. Siamo chiamati a spaccare quella crusca, quell’involucro di falsità, di esteriorità, di apparenze, per diventare più veri, più uomini e donne.
don Marco Zaina:
Fra le righe della prima lettura di questa domenica, la quinta di Quaresima, fa capolino un’immagine, a mio avviso molto bella: “…porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò sul loro cuore”.
Il termine legge ci può ricordare i comandamenti, scritti su quelle che abbiamo imparato a conoscere come le tavole della legge.
Il termine “cuore” lo usiamo spesso per descrivere situazioni belle: un cuore grande, un cuore generoso, un cuore sensibile; fare qualcosa con il cuore; avere a cuore qualcosa o qualcuno; portare qualcuno nel cuore;…..
Mi viene anche in mente una canzone del passato dove il cuore è definito uno “zingaro”, un po’ vagabondo, che gira di qua e di là, senza méta, senza riuscire a fermarsi per amare in pienezza e totalmente.
Ora: per scrivere la legge su una pietra, su una tavola di legno, ci vuole forza, vigore. Quella pietra, o quella tavola poi si possono posizionare in un luogo ben visibile, in modo che tutti possano leggere. Ma ciò che si è letto può anche esser dimenticato.
Un legge scritta sul cuore, invece, non si dimentica, perché la si porta sempre con sé (il cuore non possiamo dimenticarcelo da qualche parte!!!). Ma soprattutto la legge scritta sul cuore ci ricorda la delicatezza e la tenerezza di Chi ha scritto. Non ci è voluta forza o vigore per scolpire la pietra o incidere la tavola. Scrivendola, Dio ci ha messo il suo cuore e ha scritto su qualcosa di bello, grande, generoso, sensibile, che fa cose belle, che si prende cura dell’altro,….che forse talvolta è un po’ vagabondo.
Dio ha scritto la sua legge sul nostro cuore!!!! Per aiutarlo a non essere uno zingaro, ma perché possa amare pienamente, lì dove si trova, e portare buoni frutti.
Come un seme che diventato albero dona all’uomo i suoi frutti.